Foto 1 Frammento con epigrafe conservato al museo Archeologico di Ancona

Foto 1 Frammento con epigrafe conservato al museo Archeologico di Ancona

foto 2 Lato con scene di guerra e di caccia della stele al museo L. Pigorini (Roma)

foto 2 Lato con scene di guerra e di caccia della stele al museo L. Pigorini (Roma)

LE PAROLE DELLE PIETRE

IPOTESI SU DUE STELE DI NOVILARA

In questa pagina riporto un estratto del mio studio (effettuato nei primi anni '90 e presente in rete dal '99) sulla stele rinvenuta presso San Nicola di Valmanente (Novilara, Pesaro) e conservata al museo L. Pigorini (Roma), e sul frammento di stele con scena di caccia conservato al museo archeologico di Ancona.

Prima, comunque, vorrei introdurre all'atmosfera che queste stele evocano, con una poesia contenuta nella mia raccolta intitolata LE COORDINATE DEL FORSE (Gabrieli Ed., 2003):

Dal museo Pigorini, Roma sembra

lontana da venire, non lì fuori,

frammista a questo autunno decadente,

a facce come foglie sul selciato,

a milioni di frasi dette e sfrante,

bacche marcite su colonne rotte.

Qui dentro c'è una specie di stagione 

lunga milioni d'anni, di silenzi

che le pietre raccontano s'evolsero

in suoni, voci, echi:

è la parte ancestrale di noi stessi,

autentica (perché come il silenzio,

è aperta ad ascoltare) e indistruttibile

più della stessa pietra.

Stele di Novilara, VI secolo

avanti Cristo (o forse antecedente).

A toccarla s'avverte il senso lubrico

dei germogli bagnati, la caduta,

la pelle lacerata e il lacerante

pianto di quell'amata figlia che Isairon

volle raccomandare al "salvatore".

A guardarla si vedono i guerrieri

che, con le falariche accese in mano,

s'apprestano alla guerra contro il male.

Ad ascoltarla s'odono le nenie

giungere in greco a sera, a un bosco fitto,

farsi canti e confondersi al belato

che il colpo dell'accetta rende urlo

tranciando il coscio desto.

E il sangue scorre

nei canaletti, fino alle coppelle

delle are sui monti delle Marche,

impregnando la pietra e la memoria

dell'Era dell'Ariete.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI 

Fin dal primo contatto con la stele integra (foto 2 e 3), definita come nord-picena e intraducibile, si ha la netta sensazione che non abbia nulla di piceno, né forma globale, né stile e tipo di raffigurazioni, né disposizione e direzione dell'iscrizione (per il raffronto vedere, ad esempio, la stele di Loro Piceno conservata al museo archeologico di Ancona).

Ma soprattutto si ha la certezza che non sia una stele funebre: i 4 simboli (spesso scambiati per generiche decorazioni geometriche) evocano una atmosfera ellenica ed indicano chiaramente una connotazione salutare. In altre parole ci troviamo di fronte ad una stele atta a propiziare una guarigione (secondo un uso tipicamente greco).

È noto infatti che

1) la ruota, presente su entrambi i lati, è un antichissimo simbolo indoeuropeo, risalente al tempo in cui il grande raggruppamento linguistico-culturale non si era ancora sfaldato, tanto che  ritroviamo questo simbolo anche in ambito vedico (vedi le grandi ruote che decorano il tempio del dio Sole - Suryia in sanscrito - a Konarak, India);

2) il triangolo, a sinistra, sopra l'iscrizione, nel mondo greco rappresentava il principio femminile e la fertilità, mentre i 7 sepimenti che lo dividono sono simbolo di reintegrazione, di guarigione;

3) i serpenti (che si avvolgono intorno all'iscrizione) e

4) la doppia croce (in alto a destra) sono simboli salutari dell'antica Grecia e dei nostri giorni, tuttora presenti nello stemma degli ordini sanitari.

L'ISCRIZIONE

L'iscrizione (foto 4) è sinistrorsa, non boustrofedica (come invece molte iscrizioni picene), presente su un solo lato, si svolge su 12 righe e consta di quelle che, poi, ho appurato essere almeno 43 parole, delle quali solo 15 sono intere, più un nome proprio (ISAIRON) appartenente al committente della stele stessa.

I grafemi (tab. 1) usati dall'ignoto incisore sono comuni a quelli in uso all'epoca (VII- VI secolo a.C.) in varie popolazioni italiche e in Grecia, anche se con valore fonetico non sempre uguale (per cui una stessa lettera, usata nelle varie lingue, non sempre aveva lo stesso suono).

In questo caso, ai 20 caratteri presenti, ho dato valori foneticamente assimilabili a quelli greci arcaici (non a quelli piceni) tenendo d'occhio, però, una possibile influenza etrusca (visto che gli Etruschi furono precoci "importatori" di quell'alfabeto), e dei popoli vicini. 

Nello schema successivo (tab. 1) ad ogni grafema associo quello che ho appurato essere (con buona probabilità) il corrispettivo nell'alfabeto greco classico e il corrispettivo nel nostro alfabeto.

TRASCRIZIONE DEL TESTO

Quindi, per quello che è possibile ed aggiungendo l'ipotetica punteggiatura,sarebbe (tab. 2):

"Tu persisti, a richiesta della graziosissima, strepito funesto.

La giovane figlia del guerriero (o codottiero) Isairon che dedica per la guarigione, è sconvolta per l'urto, ferita per inganno cadendo con strepito su rametti bagnati.

(Fino) a sera, o moltitudine strepita per chiedere istanza a Dio.

Il Salvatore come grandine purifichi, per i cosci tagliati nella selva.

La sofferenza data agli arieti, le falariche accese come d'uso, gridando come in guerra per un coagulare prospero e sicuro, offriremo fino alla salvezza."

INTERPRETAZIONE

Anche se una traduzione letterale non è possibile (la mia è libera!), viste le tante parole mutile e la presenza di almeno tre "criticità"

(cioè una lettera graficamente come la nostra T, quindi simile alla effe falisca, e che ritengo suoni come il phi greco,

il gruppo TN, forse dialettale o solamente arcaico, che nel greco classico presumibilmente diventerà doppio sigma o zeta,

ed una lettera simile alla nostra M con una gamba più corta, che inizialmente interpretai come retaggio di un grafema del lineare B - alfabeto sillabico precedente a quello usato a Novilara - per il quale, eventualmente, avrebbe suonato come la sillaba "TA",

ma che, dopo attenta revisione, ritengo molto più probabile essere la lettera san, presente nell'alfabeto greco arcaico fino al VI secolo a. C. e destinata ad essere inglobata dal sigma),

è possibile però un'interpretazione molto verosimile, che tenga conto del luogo di ritrovamento (una chiesa che presumibilmente era un tempio pagano in una zona che anche successivamente verrà considerata "salutare") e delle emergenze di aree sacrificali nelle provincie di Ancona e Pesaro, Montefeltro compreso.

Dall'analisi del testo ho rilevato i seguenti due fatti certi e alcune quanto meno curiose coincidenze:

1) Ad ogni termine della stele corrisponde una parola greca o una radice di parola greca o presenta mutilazioni minime rispetto ad una parola greca. Va considerato a parte il termine ISAIRON, che secondo me è il nome del dedicante, data la successiva presenza del termine TET  (vedi la traduzione ipotetica nella tab. 3).

2) L'assenza di termini riferibili alla morte, all'età del defunto, e la presenza (oltre ai serpenti e alla doppia croce, che sono simboli salutari) di termini quali

SOTER = salvatore (termine che, prima del Cristianesimo, era inteso come salvatore dai mali fisici, ed era conferito soprattutto ad Asclepio, rappresentato con caduceo avvolto da serpente, e come una deità barbuta e ammantata, simile a quella rinvenuta in forma fittile nei pressi di Novilara): da notare che questo appellativo è presente anche in un rilievo proveniente dalla città di Doura-Europos, lungo le sponde dell'Eufrate, ed è risalente al periodo di influenza greca;

SOTRIS (forma dialettale o mutila di "soterias"?) = salvezza

TROT(ON) = ferita?;

la frase TEO AITEN = chiedere a Dio (da notare la forma in "en" di questo e dell'altro infinito - TREFEN - presente nel testo, forma tipica del periodo arcaico)

e soprattutto la sequenza TREFEN TELETAO(N) (penultima riga) = coagulare che prosperi, sequenza che credo sia la chiave di lettura del testo,

confermano la natura "salutare" della stele

in accordo con una tradizione tipicamente greca, e con l'affermazione dell'archeologo Edoardo Brizio, secondo cui questa e la stele con battaglia navale sita nel museo Oliveriano di Pesaro, sono state trovate da lui presso la chiesa di San Nicola di Valmanente, cioè vari chilometri a nord della necropoli.

3) Una coincidenza curiosa, invece, riguarda la presenza del termine (al centro dell'ottava riga) che molti interpretano come MERPON ma che, data la presenza di un graffio tra la O e la lettera a destra, a me sembra  MERION = cosci. Questo termine unito alla successiva sequenza VILATOS PATEN ARN/OIS = tagliati nella selva, sofferenza, arieti (o agnelli), ritengo che faccia riferimento ad un rituale propiziatorio descritto anche da Omero e Sofocle, consistente nell'amputazione del coscio dell'ovino, che poi veniva bruciato quale offerta sacrificale alla divinità.

Questa mia ipotesi è ampiamente supportata dalle numerose are sacrificali presenti nelle Marche centro-settentrionali, tutte poste in selve impervie, delle quali la meglio conservata è quella sita in località Raggetti (monte Conero, Ancona), che consiste di una roccia piatta affiorante dal terreno, recante incisi il punto su cui posizionare l'animale, i segni dell'ascia tranciante il coscio destro, la canaletta in cui scorreva il sangue (dal cui decorso, forse, si traevano gli auspici circa l'esito dell'evento propiziato) e la coppella che lo raccoglieva.

FRAMMENTO CON SCENA DI CACCIA (Museo Archeologico, Ancona)

Rispetto alla stele al museo L. Pigorini, questo frammento (foto 1) presenta

1) disegno e iscrizione (foto 5) sulla stessa faccia, sul retro della quale sono incise circonvoluzioni stilizzate di serpenti analoghe a quelle presenti su tutte le altre stele coeve di Novilara;

2) quelle che ho ipotizzato essere 5 parole (tab. 3), non sono separate da punti, per cui l'interpretazione è senz'altro più difficile,

3) è meno antica, sia pure di poco, perchè la lettera theta è tracciata con grafia successiva.

Per il resto, i due reperti presentano lo stesso alfabeto, la stessa lingua, lo stesso stile della scena riportata e la stessa finalità "salutare": la guarigione, in questo caso da un trauma dovuto ad un incidente di caccia.

Infatti l'ipotetica e frammentaria traduzione sarebbe:

"Guarigione per un colpo durante la caccia. Si contorce (?) e urla

CONCLUSIONI

In conclusione, chi scrisse queste due stele parlava sicuramente un dialetto greco, la cui arcaicità è dimostrata da:

1) la presenza del digamma e del san (o, poco probabilmente, di altra lettera ipotizzata come retaggio del lineare B) poi scomparsi,

2) la presenza del gruppo theta/ni (o tau/ni) poi trasformatosi in sigma/sigma o zeta,

3) la presenza di due infiniti in -en (che nel greco classico diventeranno in -ein), e

4) la mancanza di articoli (il greco arcaico, come il latino, ne era privo).

Infine si può constatare come ogni riga dell'iscrizione della stele al Pigorini, decresca o cresca di una sillaba rispetto alla precedente, cosa che potrebbe far pensare ad una possibile sensibilità metrica (responsabile anche della peculiare disposizione delle parole nell'ambito di ogni frase).

Foto 3 Epigrafe stele conservata al museo L. Pigorini

Foto 3 Epigrafe stele conservata al museo L. Pigorini

Tab. 1 Alfabeto usato nelle due stele rapportato a quello greco classico e al nostro

Tab. 1 Alfabeto usato nelle due stele rapportato a quello greco classico e al nostro

Foto 4 Riproduzione epigrafe della stele

Foto 4 Riproduzione epigrafe della stele

Tab. 2 Ipotesi di traduzione dell'epigrafe della stele al museo L. Pigorini

Tab. 2 Ipotesi di traduzione dell'epigrafe della stele al museo L. Pigorini

Foto 5 Riproduzione epigrafe del frammento

Foto 5 Riproduzione epigrafe del frammento

Tab. 3 Interpretazione del frammento di epigrafe

Tab. 3 Interpretazione del frammento di epigrafe

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